Giuseppe Giglioli.

Cartina dell'Italia

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Giglioli, Giuseppe.

Patriota italiano. Seguace di Mazzini. Laureato in Medicina dopo lunghe vicende politiche che lo costrinsero a lasciare il ducato di Modena e ad emigrare all'estero, in Francia e in Inghilterra, poté ritornare in patria quando il ducato estense fu annesso al Piemonte. Fu nominato ispettore della pubblica istruzione per la provincia di Modena, ma i rovesci della guerra per l'indipendenza lo costrinsero a riparare a Genova dove esercitò la professione medica. Nel 1860 fu nominato insegnante di Antropologia all'università di Pavia e poi a quella di Pisa (Brescello, Reggio Emilia 1804 - Pisa 1865).

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Patriota.

Che è dello stesso paese, compatriota.

- Persona che ama la propria patria e che è disposto a lottare o a combattere per essa.

- St.

- Durante la seconda guerra mondiale, in particolare nel primo periodo della lotta per la Resistenza, il termine indicò i partigiani.

- Partito dei p.: schieramento politico formatosi nel 1735 all'interno del Partito Whig inglese in opposizione al pacifismo di R. Walpole. Scoppiata la guerra con la Spagna (1739) i p. rovesciarono il Governo provocando il crollo dell'intero sistema politico voluto da Walpole.

- Lega dei p.: associazione politica francese, schierata su posizioni di estrema destra, fondata da Déroulède nel 1882. Ebbe un proprio giornale ("Le Drapeau") ed ebbe all'inizio largo seguito. Fu sciolta d'autorità nel 1889; riapparsa nel 1895, sempre ad opera di Déroulède, declinò progressivamente in seguito allo scoppio dell'affare Dreyfus fino a scomparire dopo la prima guerra mondiale.

Mazzini, Giuseppe.

Patriota e uomo politico italiano. Figlio di Giacomo, medico e patriota, e di Maria Drago, ricevette una rigida educazione religiosa, che risentì del rigorismo morale della madre e che non fu priva di influenze gianseniste, provenienti anche dai padri Luca Agostino De Scalzi e Stefano De Gregori, ai quali fu affidata la formazione del giovane. Avviatosi agli studi giuridici, conclusi con la laurea nel 1827, fu coinvolto nei tumulti di Genova del 1820. Negli anni seguenti, stretta amicizia con i fratelli Ruffini, L.D. Pareto, G.E. Benza, aderì alle idee romantiche, approfondendo in particolare il problema del rinnovamento della letteratura italiana, che egli concepì inscindibilmente legato ad un rinnovamento morale e politico della Nazione italiana. Propugnando quindi uno stretto connubio tra letteratura e impegno civile-politico, M. collaborò all'"Indicatore genovese" (1828) e, dopo la soppressione della testata, all'"Indicatore livornese" diretto da Guerrazzi. A questi anni risale la stesura di scritti di argomento letterario, quali D'una letteratura europea (1829) e Dell'amor patrio in Dante (1837, ma composto parecchi anni prima): in essi, frutto di una solida formazione letteraria, sono contenuti gli elementi centrali del sistema critico mazziniano ed elementi (la dottrina del genio, il fatto estetico concepito in subordinazione al messaggio etico e civile, la necessità di un'ispirazione sociale dell'arte) ricorrenti anche nelle opere successive. Iscrittosi alla Carboneria nel 1827, M. partecipò ai moti che questa organizzò in Liguria e in Toscana; dopo l'arresto del 1830 e un breve periodo in carcere, fu costretto all'esilio a Ginevra, Lione e infine Marsiglia. Staccatosi dalla Carboneria, andò progettando la costituzione di una nuova associazione, che avrebbe dovuto operare per la creazione di una Repubblica democratica indipendente mediante moti insurrezionali che coinvolgessero l'intera popolazione, non ristretti ad un'unica classe sociale, e la cui efficacia non dipendesse dall'intervento di potenze straniere. Nacque così la Giovine Italia (V.), fondata a Marsiglia nel 1831, il cui Manifesto apparve nel primo fascicolo dell'omonimo periodico, organo ufficiale dell'associazione. Nonostante la profonda differenza di metodi che distingueva la Giovine Italia dalle altre associazioni a carattere segreto e settario, M. operò in alcuni casi con il loro appoggio. Il fallimento di alcuni moti, come quello organizzato nel 1834 nella Savoia, non impedì la rapida diffusione della Giovine Italia, soprattutto nelle regioni centrali della penisola e negli Stati sardi, anche presso gli strati più poveri della popolazione. Nello stesso 1834 M. allargò il programma rivoluzionario mediante l'Atto di fratellanza, fondando la Giovine Europa (V.), articolata nelle espressioni nazionali delle omonime associazioni (italiana, polacca, tedesca, ecc.), che costituì il primo tentativo di organizzazione internazionale a carattere sovranazionale. Gli anni immediatamente successivi furono per M. un periodo di ripensamento e di crisi (che egli stesso definì "tempesta del dubbio"), che coinvolse i principi fondamentali della sua azione politica. La crisi fu superata mediante l'accentuazione del significato religioso dell'agire politico, nella consapevolezza che la vita deve essere concepita come missione, alla quale non ci si può sottrarre. Ogni particolarità individuale deve essere trascesa per il bene della Nazione: solo nel proprio popolo, infatti, l'uomo può essere se stesso, così come i popoli, manifestazione di Dio, sono riuniti in una fratellanza universale. Il principio di nazionalità si trasformava in tal modo in forma morale. Nel frattempo M. non tralasciò l'attività critica letteraria, compilando volumi ricchi di importanti intuizioni interpretative, per i quali egli resta una figura di primo piano anche nell'ambito più strettamente letterario: Del dramma storico (1830), Ai poeti del secolo XIX (1832), Byron e Goethe (1840). Trasferitosi nel 1837 a Londra, dove si adoperò per sensibilizzare l'opinione pubblica alla questione italiana, M. diede vita alla cosiddetta seconda Giovine Italia, ritornando all'attività politica dopo un'assenza di qualche anno. Pur mantenendo l'originaria impostazione interclassista dell'associazione, dedicò una maggiore attenzione alle esigenze della classe operaia, alle quali intese dare voce sulle pagine del nuovo periodico "Apostolato popolare" (1840-43). Gli anni Quaranta videro l'affermazione degli orientamenti liberal-moderati e riformisti, mentre la proposta mazziniana, basata sul metodo insurrezionale, subiva un ridimensionamento del favore popolare: in tale quadro, M. mantenne un atteggiamento moderato e realistico, contrario a tentativi di rivolta poco preparati, che si dimostrarono largamente fallimentari (moti di Romagna del 1843 e 1845, che M. non aveva approvato; spedizione dei fratelli Bandiera, 1844). Nel 1848 la corrente mazziniana sembrò poter realizzare i propri obiettivi: a Parigi M. fondò l'Associazione nazionale italiana, che mirava a costituire un unico fronte in funzione antiaustriaca senza tuttavia affrontare il problema del futuro assetto costituzionale dell'Italia in caso di vittoria. Dopo la clamorosa rottura tra M. e i federalisti milanesi (che auspicavano l'unione della Lombardia con il Piemonte sabaudo) e in seguito alle vittorie austriache, M. dovette rifugiarsi a Marsiglia, da dove fece ritorno in Italia per proporre l'unione della Toscana (ribellatasi e guidata dal partito democratico) a Roma, nel frattempo autoproclamatasi Repubblica e della quale lo stesso M. fu nominato triumviro insieme ad A. Saffi e C. Armellini. Dopo la caduta di Roma (1849) M. si adoperò per la creazione di un Comitato democratico europeo (1850), articolato in più settori operanti ciascuno nel proprio ambito nazionale, ma che vide tuttavia fallire i moti insurrezionali organizzati a Milano nel 1853 e a Genova nel 1857. Negli anni seguenti il movimento mazziniano conobbe un progressivo indebolimento, con il distacco di numerosi esponenti sia di tendenze progressiste o vicini al Socialismo (gruppo napoletano di "Libertà e giustizia"), sia orientati verso un più deciso moderatismo. M., che nel 1853 aveva fondato il Partito d'azione (V. AZIONE, PARTITO D'), viaggiava tra Londra, l'Italia, Lugano, continuando l'attività di propaganda politica, soprattutto dalle pagine dei periodici da lui fondati "Pensiero e azione" (Londra) e "Popolo d'Italia" (Napoli). In occasione della guerra scoppiata nel 1859 egli cercò di accentuare il carattere italiano e democratico dell'insurrezione, per evitare il pericolo di un'eccessiva ingerenza da parte dello Stato sabaudo e un conseguente accantonamento del Partito Repubblicano. In tal senso appoggiò l'impresa garibaldina dei Mille, tentò di organizzare un'iniziativa insurrezionale nell'Italia meridionale e propugnò la creazione di una Costituente eletta a suffragio universale. Dopo la formazione del Regno d'Italia, ostile non solo alla politica sabauda di accentramento e di piemontesizzazione, ma anche alle spedizioni di Garibaldi del 1862 e del 1867, M. dedicò gli ultimi anni della sua attività alla questione di Roma e al problema sociale, che le nuove condizioni economiche ponevano in modo sempre più urgente. Nel 1870, durante una spedizione per la liberazione di Roma, fu arrestato e incarcerato nel forte di Gaeta; amnistiato, fece ritorno a Londra. Contrario al Socialismo e alla Prima Internazionale, di cui condannò il carattere antireligioso, il metodo della lotta di classe e la negazione della proprietà individuale oltre che del concetto di Nazione, M. propose invece il metodo dell'associazione volontaria, che prevedeva la condivisione del lavoro e del capitale. Trasferitosi di nuovo a Lugano, rientrò in Italia nel 1872. Le numerose opere di M., di argomento politico e letterario, sono state pubblicate nell'Edizione nazionale, per un totale di 100 volumi, tra il 1906 e il 1943 (Genova 1805 - Pisa 1872).

Un ritratto di Giuseppe Mazzini

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Ducato.

Titolo, dignità di duca.

-Per estens. Stato, territorio governato da un duca.

- Filat.

- Francobolli emessi dagli Stati dell'Italia e della Germania preunitarie per i quali si preferisce ora l'espressione antichi Stati italiani o tedeschi.

- St.

- Durante il periodo bizantino e longobardo, fu il territorio su cui si esercitava il governo del duca bizantino prima e longobardo poi. Nel periodo bizantino (dal 543) comprendeva più castra e castella e aveva come centro di solito un'antica città. Nel d. si accentrava l'ordinamento militare, giudiziario, amministrativo e fiscale dell'Italia bizantina; i d. dipendevano dall'esarca con sede a Ravenna. Nell'Italia longobarda il d. fu una vasta circoscrizione territoriale che, sotto il controllo del capo e comandante militare (duca) di una gens, era a sua volta divisa in circoscrizioni minori rette da sculdasci. Particolare rilievo ebbero nell'ambito longobardo il d. del Friuli, quello di Lucca e i due grandi d. di Spoleto e di Benevento, staccati territorialmente dal resto del Regno, indipendenti e attigui alle terre rimaste ai Bizantini.

- Numism.

- Moneta veneziana in oro puro di 3,56 g circa coniata dal doge Giovanni Dandolo nel 1284; recava al recto il doge inginocchiato che riceve il vessillo da San Marco e al verso Cristo in una mandorla di stelle. Nel 1202 il doge Enrico Dandolo aveva già coniato un d. d'argento, in seguito chiamato grosso o matapane. Il d. d'oro fu coniato ininterrottamente con la stessa lega e lo stesso peso fino alla caduta della Repubblica di Venezia (1797). Esso costituì la moneta d'oro internazionale del Medioevo e fu imitato a Roma, a Malta e in Oriente fino in India. Dalla metà del XVI sec. circa fu denominato zecchino. Dal 1562 si hanno anche d. d'argento del peso di 32 g circa e del valore di 124 soldi, recanti sul verso il leone di San Marco e la leggenda Ducatus Venetus. D. si denominarono genericamente anche le monete d'oro di molti Stati italiani e stranieri.

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Mòdena.

Città dell'Emilia-Romagna, capoluogo della provincia omonima; sorge a 34 m s/m., nell'alta pianura padana, tra i fiumi Panaro e Secchia. 175.698 ab. CAP 41100. • Econ. - M. è un importante mercato agricolo (uva da vino, ortaggi, frutta, foraggi) e del bestiame (bovini e suini). La città è inoltre sede di industrie alimentari (produzione di insaccati, latticini, vini), meccaniche, chimiche, per la preparazione di concimi, siderurgiche, delle automobili, elettrotecniche, della lavorazione delle pelli. • St. - Città della confederazione etrusca e più tardi presidio dei Galli, divenne colonia romana con il nome di Mutina nel 183 a.C. Nel 72 a.C. fu teatro dell'assedio condotto da Spartaco contro le truppe romane; dopo la morte di Cesare fu luogo di scontro tra i cesariani guidati da Marco Antonio e la fazione senatoria capeggiata da Decimo Bruto (guerra di M.). Anche durante l'età imperiale la città mantenne una posizione di primo piano, sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista economico; quindi attraversò un periodo di decadenza a causa delle invasioni barbariche e delle inondazioni che colpirono la zona, fino a quando non giunsero in Italia i Longobardi. Questi ultimi la restaurarono nel VII sec. e nell'VIII sec. fondarono, a Nord dell'antico centro abitato, un nuovo insediamento, Città Geminiana, poi Cittanova, che divenne sede del governo (mentre M. rimase sede vescovile). Nel corso del IX sec. i vescovi riuscirono a farsi riconoscere dagli imperatori diversi privilegi, sostituendosi ai conti di Canossa nella funzione di feudatari e risultando di fatto i veri signori della città. Con la morte di Matilde di Canossa (1115) e lo sfaldarsi del dominio canossiano la città incrementò ulteriormente la propria autonomia, anche nei confronti dell'autorità dei vescovi, tanto che già nell'XI sec. ebbe un governo cittadino; nel XII sec. l'organizzazione di M. fu quella tipica dei Comuni. Alla discesa del Barbarossa in Italia, la città appoggiò l'imperatore, lo sostenne nella lotta contro Milano e prese parte alla dieta di Roncaglia. Nel 1168 M. si schierò, tuttavia, con la Lega Lombarda e nel 1183 fu tra i firmatari della pace di Costanza. In cambio del favore accordato anche a Federico II nella lotta contro i Comuni, nel 1229 la città risolse a proprio vantaggio le contese territoriali che la opponevano a Bologna, sua tradizionale nemica insieme a Reggio. L'accendersi delle rivalità interne, tra la fazione guelfa degli Aigoni e quella ghibellina dei Grasolfi, permise però a Bologna di riprendere le ostilità e di assoggettare M. al proprio dominio, inviando podestà fino al 1260. Il protrarsi delle lotte tra guelfi e ghibellini e all'interno della stessa fazione guelfa spinse però alcuni nobili, nel 1288, a offrire il governo della città a Obizzo d'Este, signore di Ferrara. Cacciati nel 1306, gli Este tornarono al governo della città nel 1336. Da quel momento le vicende di M. coincisero con quelle dello Stato estense, fatta eccezione per un breve periodo (1511-1527) di dominio pontificio e quando, nel 1598, dopo che Ferrara entrò a far parte dello Stato della Chiesa, la città divenne capitale del Ducato. Il Seicento fu per M. un periodo di intensa attività culturale e artistica. Nel XVIII sec., dopo aver combattuto nelle guerre di Successione spagnola, polacca, austriaca, la città fu occupata dai Francesi e fece parte, prima della Repubblica Cispadana, poi della Repubblica Cisalpina; nel 1799 fu per un anno possesso degli Austriaci, tornò alla Cisalpina e, dopo la caduta di Napoleone, venne assegnata agli Asburgo-Lorena, che nel periodo successivo accrebbero i territori in loro possesso con l'acquisto di Massa e Carrara (1830) e di Guastalla (1848). Dopo vari tentativi di insurrezione, la rivoluzione del 1859 pose fine al governo ducale e il successivo plebiscito decretò l'annessione della città e del suo territorio al Piemonte e quindi al Regno d'Italia. - Ducato di M.: a partire dal 1288 quando il governo di M. venne offerto a Obizzo d'Este, signore di Ferrara, la storia della città coincise con le vicende degli Este. A Obizzo succedette, nel 1293, il figlio Azzo VIII, che però fu spodestato nel 1306; solo nel 1336 gli Este tornarono al potere. Nel 1409 Niccolò III estese la propria Signoria anche a Reggio e nel 1462 Borso si vide conferire il titolo di duca di M., seguito nel 1471 da quello di duca di Ferrara. Perdute Reggio e M. nei contrasti che le opposero allo Stato della Chiesa, gli Este ne tornarono in possesso con Alfonso I. Estintosi, con la morte di Alfonso II (1527), il ramo principale della famiglia, il cugino Cesare, suo successore, dovette cedere Ferrara alla Chiesa e trasferì la capitale del Ducato a M.; il dominio estense venne però nuovamente ampliato con l'aggiunta della Signoria di Sassuolo (1599), del Principato di Correggio, del Ducato della Mirandola e della Contea di Novellara. Ercole III, sposando Maria Teresa Cybo-Malaspina, unì al proprio Ducato anche quello di Massa e Carrara. Dal 1796 i territori estensi vennero inclusi negli Stati creati dai Francesi e da Napoleone. Dopo il Congresso di Vienna il Ducato venne assegnato a Francesco IV, figlio dell'arciduca d'Austria Ferdinando e nipote, per parte di madre, di Ercole III d'Este. L'insurrezione del 1859 e il plebiscito dell'anno seguente, che ne sancì l'unione al Regno di Sardegna, posero fine all'esistenza del Ducato di M. • Arte - Il monumento più imponente della città è il duomo, esempio di architettura romanica dei secc. XI-XII. Iniziato nel XII sec., sui resti di una basilica del IV sec., fu portato a termine solo nel 1319, quando fu completata la torre campanaria (detta "la Ghirlandina"). Inizialmente, vi lavorarono l'architetto Lanfranco e lo scultore Wiligelmo, ai quali subentrarono nei secoli seguenti i Maestri Campionesi. Del 1244 è la chiesa di San Francesco, in stile gotico, restaurata nel XIX sec. Vi sono inoltre diversi esempi di architettura religiosa cinquecentesca (San Filippo Neri), secentesca (San Biagio, Sant'Agostino, San Bartolomeo), settecentesca (San Domenico, San Giovanni Battista). Tra gli edifici civili ricordiamo Palazzo Ghisellini (XVI sec.), Palazzo Ferrari-Moreni (XVI sec.), palazzo ducale (1634), il palazzo comunale (ricostruito nel XVII sec. su resti medioevali), l'università (1774). Nel palazzo dei Musei è compresa la Biblioteca estense, che conserva la celebre Bibbia di Borso d'Este, del XV sec. - Provincia di M. (2.690 kmq; 608.550 ab.): comprende, da Nord a Sud, una zona pianeggiante che digrada progressivamente verso il Po, una fascia collinare e un'area appenninica (la vetta più alta è il monte Cimone, 2.165 m). È attraversata da vari corsi d'acqua a regime irregolare, tra i quali i principali sono il Secchia e il Panaro. Centri principali: Carpi, Pavullo nel Frignano, Sassuolo, Castelfranco Emilia, Finale Emilia, Spilamberto, Mirandola. Notevoli le differenze tra l'economia delle diverse zone: la pianura, fertilissima, è intensamente coltivata a cereali, barbabietole da zucchero, foraggi; in collina prevalgono i frutteti (ciliege, pesche, fragole) e i vigneti; in montagna l'economia si basa essenzialmente sulla coltivazione di cereali, su modesti allevamenti e sullo sfruttamento del patrimonio boschivo. Notevole sviluppo hanno gli allevamenti bovino e suino, che alimentano le industrie casearia e dei salumi. Vi sono poi aziende attive nel settore tessile, meccanico, automobilistico (notissima la Ferrari di Maranello), della lavorazione della ceramica.

Gènova.

Città della Liguria, capoluogo di provincia, sul golfo omonimo, alle falde dei rilievi appenninici. La parte antica del nucleo urbano è addossata al porto; la parte moderna è distesa sulle prime pendici collinari. Il rapidissimo sviluppo topografico degli ultimi decenni ha stabilito la continuità dell'abitato nella fascia costiera, che include i centri industriali di Cornigliano e Sestri Ponente. In funzione del grande sviluppo industriale (costruzioni navali, acciaierie, industrie metalmeccaniche, depositi e raffinerie di olî minerali, industrie alimentari, del legno, cartarie, ecc.) e commerciale, il porto è stato ingrandito. Dal 1962, è sede di aeroporto internazionale, costruito sul piano di colmata di un ampio tratto di mare prospiciente Sestri Ponente. 653.530 ab. CAP 16100. - St. - Fondata dai Liguri, fu distrutta dai Cartaginesi (205 a.C.) per essersi alleata con i Romani durante le guerre puniche. Più tardi divenne municipio romano. Sede vescovile dal III sec., fu occupata da Belisario nella guerra greco-gotica (535-553) e rimase ai Bizantini fino al 641, quando la conquistò il re longobardo Rotari. Capoluogo del ducato di Liguria, poi sede di contea in età carolingia, fu danneggiata dalle incursioni dei pirati saraceni. Dal governo vescovile passò nell'XI sec. a libero comune, mentre le compagnie commerciali di rione organizzavano le prime imprese marinare nel Mediterraneo. Nacque poi l'istituto del podestà, e le discordie cittadine sfociarono nelle lotte di partito tra guelfi (Fieschi e Grimaldi) e ghibellini (Doria e Spinola), lotte che permisero a G. di affermare la sua egemonia sulla Sicilia e, in concorrenza con Pisa e Venezia, di conquistare il predominio su tutto il Mediterraneo. Nel 1257 andava al potere la borghesia, istituendo il primo capitano del popolo (Guglielmo Boccanegra). Il commercio genovese riceveva nuovo incremento dal trattato del Ninfeo (1261), ma la lotta con Venezia si concludeva due anni dopo con la sconfitta genovese a Settepozzi e la tregua di Cremona. Le casate feudali, tornate alla ribalta vararono, nel 1270, la diarchia dei capitani del popolo Oberto Doria ed Oberto Spinola. Con la vittoria navale sui Pisani (1284) G. ottenne l'incontrastato dominio sul Tirreno; nel 1298 riuscì a battere Venezia alle Curzolari. Nel XIV sec. i guelfi (1318) si impadronirono del potere. Vent'anni più tardi iniziò il periodo dei dogi perpetui con Simone Boccanegra, primo doge a vita della Repubblica genovese. Le famiglie nobiliari, però, sebbene escluse dal dogato, parteciparono alla vita politica di G. favorendo l'influenza francese e milanese. Sconfitti a Loiera, i Genovesi si dettero ai Visconti di Milano, cedendo la Sardegna al re d'Aragona. Alla cacciata dei Visconti (1356) seguì un governo popolare che perdette, però, la guerra di Chioggia contro Venezia (1378-1381). Dominio francese e signoria viscontea si alternarono dal 1396 al 1506. La caduta di Costantinopoli (1453) pose fine alla politica coloniale di G. ed alla sua potenza navale. Dopo il saccheggio della città, compiuto dagli imperiali (1522), l'ammiraglio Doria si schierò con Carlo V contro i Francesi, ottenendo l'autonomia di G. (1528) ed inaugurando la costituzione dei dogi biennali. Superate le congiure di Luigi Fieschi (1547) e di Cybo, il Doria riuscì a salvare la repubblica dalle pretese di Carlo V. Con la decadenza del commercio a causa della concorrenza dei porti dell'Atlantico, G. si dette a costruire navi. Per aver costruito galere per il re di Spagna fu bombardata e per tre quarti distrutta dalla flotta di Luigi XIV (1684). Nel 1797 nacque la nuova repubblica democratica, che seguì le sorti della politica francese fino al congresso di Vienna (1815), quando G. fu assegnata ai Savoia. Nel 1861 veniva incorporata nel nuovo Stato italiano. Occupata dai nazisti nel 1943, fu la prima città dell'Italia del Nord ad insorgere (1945). - Arte - Fra i monumenti di interesse storico e artistico, di cui la città è ricchissima: cattedrale di San Lorenzo (XII-XIV sec.), completata dalla cupola di Alessi (1567); chiese di San Donato (XII-XIII sec.), di Santa Maria del Castello (XII sec.), di Santo Stefano, di Sant'Agostino (XIII sec.), di Santa Maria di Carignano, ecc.; il palazzo del Banco di San Giorgio (1260), rimaneggiato in epoca rinascimentale; la Torre degli Embriaci (XII sec.); il palazzo Spinola (XV sec.), il palazzo Doria, affrescato da Perin del Vaga; il palazzo reale; il palazzo Bianco ed il palazzo Rosso (1677); il Municipio (1564); il palazzo Cambiaso, opera dell'Alessi; il palazzo ducale (XVI sec.), l'Università; il teatro Carlo Felice; il palazzo dell'Accademia linguistica; la Lanterna del porto (1139) ed il cimitero di Staglieno, dove si trova la tomba di Mazzini. Musei: di storia navale (villa Doria), di scultura e architettura ligure (chiesa di Sant'Agostino), d'arte antica (palazzo Bianco, palazzo Rosso, palazzo reale), d'arte moderna (villa Serra), del Risorgimento, di storia naturale, ecc. - Provincia di G. (1.831 kmq; 927.140 ab.): comprende il tratto del versante tirrenico dell'Appennino ligure, tra Arenzano e Moneglia, e parte del versante padano. La vita economica è basata sulle industrie che sorgono tutt'intorno al capoluogo; notevoli risorse costituiscono anche l'industria turistica e la floricoltura.

Genova: piazza della Vittoria

Genova: chiesa di S. Stefano

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